Il D.P.C.M. n. 13 del 22 gennaio 2018, entrato in vigore il 21 marzo, ha definito le condizioni di esercizio dei condhotel, una nuova tipologia di esercizi alberghieri che, previa realizzazione di opere di riqualificazione, possono vendere stanze dotate di servizi e cucina a privati, i quali, a loro volta, possono utilizzarle direttamente od affittarle a terzi, tramite il gestore della struttura alberghiera, con cui divideranno gli incassi.

In forza del suddetto decreto, emanato in attuazione di una previsione del decreto “Sblocca Italia”, il proprietario di una struttura alberghiera può ora decidere, al fine di cederli a terzi, di trasformare in appartamenti con cucina una porzione della struttura esistente (fino ad un massimo del 40% della superficie) oppure aggregare all’albergo un certo numero di unità immobiliari (ad es., appartamenti o villette) ubicate nelle immediate vicinanze (purché nel medesimo Comune e ad una distanza non superiore a 200 metri lineari dall’albergo).

I condhotel devono possedere i seguenti requisiti tecnici e funzionali:

presenza di almeno sette camere, al netto delle unità abitative ad uso residenziale, ubicate in una o più unità immobiliari inserite in un contesto unitario, collocate nel medesimo comune, e aventi una distanza non superiore a 200 metri lineari dall’edificio alberghiero sede del ricevimento;

percentuale massima della superficie netta delle unità abitative ad uso residenziale pari al quaranta per cento del totale della superficie netta destinata alle camere;

presenza di portineria unica per tutti coloro che usufruiscono del condhotel, sia in qualità di ospiti dell’esercizio alberghiero che di proprietari delle unità abitative a uso residenziale, con la possibilità di prevedere un ingresso specifico e separato ad uso esclusivo di dipendenti e fornitori;

gestione unitaria e integrata dei servizi del condhotel e delle camere (non inferiore a dieci anni dall’avvio dell’esercizio del condhotel);

esecuzione di un intervento di riqualificazione, all’esito del quale venga riconosciuta all’esercizio alberghiero una classificazione minima di tre stelle;

rispetto della normativa vigente in materia di agibilità per le unità abitative ad uso residenziale.

È bene precisare che l’acquisto dell’unità immobiliare si accompagna ad un mandato di gestione grazie al quale l’albergatore conserva il diritto di affittare la stanza in questione nei periodi di inutilizzo da parte del proprietario, dividendone con questi i relativi ricavi: nei contratti di trasferimento delle proprietà ad uso residenziale, infatti, deve essere precisato che l’unità abitativa ad uso residenziale, ove non utilizzata dal proprietario, con il suo consenso, possa essere adibita da parte del gestore unico ad impiego alberghiero.

Nei prossimi mesi spetterà alle Regioni emanare specifici regolamenti locali al riguardo.

Gli albergatori che decidessero di riqualificare gli immobili in modo da convertire una porzione della superficie in unità residenziali avrebbero diversi benefici: iter urbanistici semplificati e possibilità di fruire del “tax credit”, il credito d’imposta al 65% in vigore per gli interventi edilizi sugli hotel; possibilità di vendere la proprietà degli appartamenti ai privati, così da recuperare risorse; ingresso nel segmento altamente concorrenziale degli affitti brevi.

Nel contempo, gli acquirenti delle unità immobiliari potranno fruire di servizi accessori normalmente non presenti in abitazioni private, e contare su un tasso di occupazione dell’immobile (per i periodi di mancato utilizzo personale) verosimilmente più alto rispetto ad immobili affittati tramite i canali “tradizionali” (agenzie, portali online, ecc.).

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